L’importanza di chiamarsi Kaliningrad nella narrazione russa

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di Vanni Sgaravatti Si legge nei notiziari Ansa che il Cremlino ha definito la decisione della Polonia di cambiare nome, nei suoi documenti ufficiali, alla città russa di Kaliningrad come un “atto ostile”. Kaliningrad, exclave russa stretta tra la Lituania e la Polonia sulla costa baltica, prima della fine della Seconda guerra mondiale si chiamava Königsberg, ma annessa successivamente all’Unione sovietica, fu ribattezzata in onore del politico rivoluzionario sovietico Mikhail Kalinin. Perché i Russi considerano importante un cambio di un nome, al punto da considerarlo un atto ostile in un contesto in cui la Polonia fa ben altro che chiamare in un altro modo una città, fornendo all’Ucraina armamenti, addestramento militare e accoglienza ai profughi ucraini? Naturalmente la questione è di tipo propagandistico, in un contesto in cui le narrazioni ideologiche sono quasi più importanti che le cannonate. Ma, nello specifico, l’importanza nel non ricordare che la città di Kaliningrad, prima Konisberg e prima ancora Krolewich, è stata polacca e lituana risiede nel far dimenticare le specificità storico evolutive di tutte le comunità etniche e nazionali. Specificità che hanno comportato cambiamenti nei nomi assegnati a città, in base a dinamiche di conflitti e di assoggettamenti da parte di regni o imperi, come quello russo. Come ho ricordato in altri precedenti articoli, nel XIII secolo il principato di Kiev era il principale riferimento identitario degli Slavi orientali, che mantennero una loro identità nel territorio dell’Ucraina moderna, quando l’orda d’oro mongola assorbì e invase la zona di insediamento dei Rus che da Kiev si erano spostati verso l’attuale Mosca. Dal XVI al XVII secolo, l’Ucraina mantenne una propria identità culturale e l’Etmanato di kiev, prima fece parte del Regno di Lituania e poi di Polonia. Fu nella seconda metà del ‘700 che, con Caterina II, la repubblica Sic e l’Etmanato ucraino di tipo parlamentare costituzionale furono repressi e assorbiti dalla Russia, cercando fin da allora, di reprimere una cultura nazionale, che aveva caratteristiche differenti da quella dell’estremo servaggio e dispotismo russo, impronta lasciata dall’occupazione dell’orda d’oro dei mongoli. Da allora traspare nei documenti una lotta così profonda e mortale tra due “nazionalismi”, attorno ad un limes dove gli Ucraini si battono da sempre per il loro essere europei, quando ancora l’Europa si divideva tra Prussia, Impero austroungarico, Regno piemontese, ecc. o forse e soprattutto quando l’Europa si divideva tra Sacro Romano Impero, Mongoli, Musulmani e il Papa inviò all’Etmano ucraino il riconoscimento per aver difeso la cristianità nella terza Roma (XV secolo). Questo storico conflitto, che contraddice l’idea di popoli fratelli divisi l’”altro ieri” dalla seduttiva demagogia occidentale, espresse il suo culmine nella storia dell’holodomor, che molti in Occidente, hanno insabbiato o fatto finta di non conoscere. E alcune testimonianze del 1933 fanno ben capire la portata di quello che è stato insabbiato solo qualche testimonianza: “(…)la città era circondata da un muro perché la gente non potesse guardarvi dentro, si potevano però sentire terrificanti grida disumane le donne si segnavano e fuggivano via. Le forze dei cadaveri erano così stracolme, così malamente ricoperte che i cani ed i lupi recuperavano parte dei corpi. Migliaia di bambini morirono in tale modo a kirovograd. Demcenko raccontò di un treno arrivato alla stazione di Kiev pieno di cadaveri raccolti durante tutto il percorso da Poltava a Kiev”. La maggior parte dei deceduti, dai 5 ai 10 milioni erano ucraini”. E ancora: “(…)la moglie di Stalin fu avvicinata da due studenti che le parlarono dei casi di cannibalismo e di come essi stessero avessero preso parte all’arresto di due fratelli che vendevano cadaveri”. Nazdeva si suicidò il 5 novembre 1932 e sembra che il motivo concernesse proprio tale questione. Una carestia terroristica pianificata e premeditata, visto che il confine russo con l’Ucraina venne bloccato per impedire che il grano afflisse in Ucraina e fu impedito che le persone emigrassero. Bucharin disse che la peggiore conseguenza degli eventi degli anni 30-33 non furono tanto le sofferenze dei contadini, per quanto spaventose possono essere state, quanto i profondi cambiamenti nella psicologia dei comunisti russi che, invece di impazzire, divennero dei burocrati professionisti, per i quali, da quel momento, il terrore rappresentò un normale metodo di amministrazione e l’obbedienza a qualsiasi ordine proveniente dall’alto, una grande virtù. È davvero una terribile ironia il fatto che i bambini i cui genitori erano stati uccisi dal regime venissero indottrinati e brutalizzati fino a diventare i più terribili agenti di quello stesso regime. Bambini che denunciavano e chiedevano pubblicamente la pena di morte del padre o della madre erano premiati con riconoscimenti dai russi. Molti ragazzi passarono per istituti-prigione e alcuni riuscirono poi a costruirsi una rispettabile carriera, altri invece divennero dei criminali ed altri ancora, per una terribile ironia della sorte, entrarono nei ranghi della stessa NKVD. Molti divennero una fonte di reclutamento per la polizia segreta. Putin e molti oligarchi e lo stesso segretario del Komsomol che incontrai a Mosca nel 1989, durante il mio lavoro sui problemi ambientali in Siberia erano cresciuti negli orfanotrofi ed erano stati arruolati nella polizia segreta. Come ha detto anche il Cardinale Zuppi, pochi conoscono quella storia dell’Ucraina, e come nella tragedia degli anni 30 si ritrova l’origine dei conflitti odierni. E gli avvenimenti descritti non possono essere liquidati come appartenenti a un passato ormai sepolto, troppo remoto per avere ancora un significato attuale. Al contrario, finché non sarà possibile indagare liberamente su di essi, gli attuali dirigenti della Russia rimarranno gli eredi. Il nazionalismo imperiale russo è sempre stato centrale nel vero sentimento dei dirigenti russi. Al tempo di Andropov, il Kgb a cui apparteneva come membro operativo Putin a Dresda finanziando terrorismo, traffici di droga, si pianificò il passaggio al superamento del sistema sovietico comunista del Pcus, che era stata la narrazione ideologica di copertura, favorendo la crescita di Gorbaciov, come riportato anche da Catherine Belton nel suo libro “tutti gli uomini del Kgb”. E questo perché quel sistema non era in grado di assicurare le risorse necessarie al Kgb per controllare, anche tramite corruzione e collusione, i centri di potere occidentali. Fino a quando non sarà possibile studiare o discutere questi avvenimenti nel paese in cui ebbero luogo è chiaro che questi non possono considerarsi parte del passato, ma costituiscono al contrario un problema vivo, da tenere presente quando si considera la Russia ed il mondo intero come oggi sono. E, come dissero, Andrei Sacharov, Alexander Solgenitsin e Robert Conquest autore del più completo libro-denuncia sull’holomodor, l’Ucraina deve essere libera di scegliere il proprio futuro e la libertà dell’ucraina dovrebbe costituire una questione morale politica fondamentale per il mondo intero. Le identità nazionali o imperiali trovano una corrispondenza metaforica persino nelle “cose” del mondo che ci circondano. Tutto viene indentificato attraverso i propri confini. E questi confini tendono ad avere una persistenza nel tempo. Una goccia di olio nell’acqua è identificabile in quanto tale, finché con il tempo non si scioglie. Mentre il tempo di mantenimento dei propri confini identitari è un variabile che le “cose” non viventi subiscono passivamente, quelle viventi cercano con comportamenti proattivi di mantenere questa identità, di modificare il proprio ambiente per assicurarsi una continuità di identità, dentro mobili confini, Nel momento in cui la narrazione ideologica punta su un ‘identità imperiale” collegata a determinati confini (più ampi di quelli delle componenti nazionali che ne fanno parte), questi diventano, per chi assimila tale narrazione, una questione di sopravvivenza alla pari di quella che difendono i confini di una nazione riconosciuta. E, a quel punto, la distanza tra i confini riconosciuti dai trattati internazionali e quelli vissuti da chi è compreso in quella collettività, diventa la distanza tra un formalismo che appare imposto e la realtà “vera” e percepita dalla gente che si sente appartenere a quella narrazione e che è un riferimento per il proprio sè autobiografico ed il proprio sé sociale. La propaganda ideologica di un impero è, quindi, un elemento dell’esistenza dell’impero. E perché sia efficace deve essere sacralizzata e avere un carattere di eternità o almeno millenario come doveva essere il terzo reich. Il nome che viene dato a quella città segue questo criterio. Altro che città che cambiano il nome. E, di norma, gli imperi sono costituiti da un potere centrale e da un assoggettamento delle componenti interne, al punto che la propaganda è determinata dal centro molto più che in un sistema democratico, caratterizzato per i diversi gradi di equilibrato policentrismo. Alla luce di tutto queste riflessioni sui bisogni identitari nazionalisti, sembra davvero strana la narrazione che si fa nei talk show di oggi, cioè quella di immaginare 50 milioni di Ucraini, come persone “quasi russe”, manipolate dal potere seduttivo dell’egemonia occidentale, alleate con un manipolo di nazionalsocialisti. Si dice che le ragioni dell’altro vanno comprese per costruire un negoziato di pace. Ma le ragioni di Putin si comprendono persino quando lui ed i suoi dicono che la Russia, nata a partire dall’assoggettamento e la centralizzazione di Pietro il Grande, o è un impero o non è. Anche le ragioni di Hitler si capiscono, quando verso la fine della Seconda guerra mondiale, diceva: “la Germania sono io (che sono fonte prima della narrazione ideologica che ha reso forte la Germania, caratterizzata dalla fanatica e acritica adesione dei tedeschi) e se muoio io, il destino della Germania non mi interessa, perché non esiste più la Germania”. Quella Germania, ovviamente. E, in linea con questo ragionamento, si capiscono anche le ragioni dell'”altro” quando si dice che il modello di democrazia capitalistica è una minaccia e una provocazione all’esistenza di questa Russia imperiale. Anche se l’idea che esista un manipolo di pianificatori capitalisti occidentali che, con le loro concertate decisioni, pianificano l’orientamento del proprio sistema significa non capire come funziona la democrazia capitalistica. Se quel manipolo fosse in grado di decidere e stabilire di mantenersi forzatamente dentro a confini stabiliti per decisione politica, riportando indietro le lancette della storia alle sfere di influenza e alla cortina di ferro, questo manipolo governerebbero un sistema oligarchico: una contraddizione in termini. E si può comprendere la dirigenza russa persino quando, conscia della propria potenza militare, consideri carnefici gli occidentali che “obbligano” i Russi a tirare fuori la loro potenza militare e del terrore, dando l’illusione agli Ucraini di essere indipendenti, provocando quelle inevitabili e necessarie reazioni russe che portano al genocidio del popolo ucraino. Certo è colorato dichiarare che la Russia sta subendo un’aggressione: è una sintesi semplicistica ad uso del popolo, ma dietro c’è una verità, quella russa, tutta interna alla propria cultura, alla narrazione ideologica ed alla propria cognizione del mondo. E del resto, chi può negare che gli occidentali non esercitino una loro egemonia: che poi lo facciano consapevolmente o che lo siano, nel bene e nel male, perché portatori di uno modello che funziona meglio è una distinzione da intellettuali perdigiorno. C’è un fondamento nella visione che Putin ha degli occidentali come persone che non hanno anima, vendute da sempre alla logica mercantile e che basta pagarli: dai dirigenti politici che stanno sulle poltrone, ai ricchi nelle ville, alla maggior parte delle persone preoccupate dal caro bollette, ai poveri che hanno altro a cui pensare. Ma i sistemi e le organizzazioni, anche se sono fatti di uomini, hanno una loro storia indipendente dalle parti che lo compongono, così come la coscienza emerge (secondo una certa visione) dalle connessioni delle parti del cervello, ma poi diventa altro, così come due atomi di idrogeno e uno di ossigeno non sono percepibili come bagnate così come percepiamo il composto a cui danno origine. E l’errore putiniano e dei suoi è sempre quello che commettiamo anche noi di vedere il mondo in forma lineare e non di complessità e di non capire che il sistema, in questo caso, quello occidentale, si muove a propria difesa in autonomia, reagisce indipendentemente dagli interessi dei singoli. Nel caso del sistema russo anche la narrazione a supporto dell’identità imperiale è di vitale importanza e lo è, quindi, continuare a chiamare una città con un nome corrispondente a questa. Stalin sapeva che molti occidentali all’epoca avevano raccolto testimonianze dell’holodomor, ma come Hitler, aveva capito che l’importante era continuare a mentire per confondere le idee agli occidentali e fare in modo che quelli che volevano credere alla grande menzogna potevano farlo. Non mi sembra che le cose siano cambiate di molto.     (15 maggio 2023) ©gaiaitalia.com 2023 – diritti riservati, riproduzione vietata