di Vittorio Lussana
Montagna Antifascista, un gruppo di militanti filocomunisti, si è dichiarato contrario alla cittadinanza onoraria della città di Reggio Emilia per Aleksej Navalny, proposta da un consigliere comunale del Pd, Paolo Genta e presentata nella Sala del Tricolore del capoluogo di provincia emiliano. Motivo: egli (Navalny) è stato un neonazista.
Si tratta, tuttavia, di una posizione alquanto schematica, rigidamente ideologizzata, che potrebbe generare future divisioni a sinistra, che di certo non ne ha bisogno, soprattutto in questa fase. In secondo luogo, Navalny non è stato, nei suoi anni giovanili, tecnicamente un neonazista, ma un liberal-nazionalista, favorevole, addirittura, a regolarizzare le coppie di fatto e i cosiddetti matrimoni gay. Trattandosi di un liberale declinante verso il conservatorismo, diventa alquanto verificabile la sua contiguità con i movimenti nazionalisti veri e propri. Ma la cosa è avvenuta negli anni formativi del suo impegno di attivista, mentre in seguito ha maturato posizioni più vicine al liberalismo classico, soprattutto relativamente alla situazione del suo Paese, la Federazione russa, che ha sempre più limitato gli spazi di democrazia e di libera espressione del dissenso.
Insomma, l’attivista Navalny si era evoluto: una cosa che sembra inconcepibile ai nostri marxisti più ortodossi. I quali, al pari delle destre tradizionaliste, concepiscono anch’essi una società fortemente verticista, rinchiudendosi all’interno di una visione puramente burocratica, totalmente appiattita sul presente. Invece, i percorsi evolutivi esistono. Così come ci sono quelli involutivi o di schiacciamento sulle posizioni più contraddittorie. Perché su una cosa non hanno torto a diffidare i nostri montanari: l’indifferenza borghese di cui sono impregnati molti nostri sedicenti liberali. I quali, non appena appare all’orizzonte un manganello, per mere questioni di opportunismo politico non esitano a trasformarsi in minoranza silenziosa. La questione sollevata dagli amici di Montagna Antifascista indubbiamente esiste, risulta fondata: dovrebbe essere evidente che la dittatura militare o lo Stato di Polizia non corrispondano ai requisiti richiesti dal modello democratico basato sullo Stato di diritto, che invece dovrebbe tollerare o, addirittura, tutelare la convivenza civile, evitando di togliere diritti acquisiti alle minoranze, per quanto piccole queste possano essere. E’ infatti questa l’interpretazione più autentica della democrazia, non il dover sopportare che il nazionalismo più estremista metta i piedi sul tavolo: siamo d’accordissimo in merito a ciò.
In punta di dottrina, non hanno tutti i torti i nostri partigiani. Tuttavia, consigliamo loro di non eccedere nel dottrinarismo ideologico o nel fare i maestrini con la penna rossa, perché anche le evoluzioni contrarie, quelle maggiormente positive, possono avvenire. Fermarsi al Navalny giovanile o a qualche periodica contaminazione formale, anche per motivazioni puramente tattiche, di mera ricerca di alleanze possibili, significa limitarsi a fotografare una fase che può capitare, nella maturazione di un giovane attivista. Soprattutto, all’interno dell’immobilismo espresso dall’idea di società imposta da Vladimir Putin, che ha finito col sovrapporsi alla trascendenza omnicomprensiva del cattolicesimo più ortodosso.
Limitarsi a scattare delle semplici fotografie statiche nell’era di internet, in cui tutto corre a duecento all’ora, significa impedire ogni possibile rielaborazione del pensiero e dei comportamenti pratici delle persone, bloccando sul nascere ogni forma riabilitazione, che invece viene concepita a sinistra. Anche nelle teorie del Maestro di Treviri. Si tratta di un processo alle intenzioni puramente meccanicista, come quando si considera un ex tossicodipendente – e in fondo siamo nei paraggi, sia con le religioni, sia con le ideologie più dogmatiche – che ha coraggiosamente intrapreso il proprio percorso di disintossicazione, perennemente un drogato potenziale. Si tratta di un pessimismo eccessivo, speculare alla sfiducia delle destre nelle possibilità migliori dell’umanità, che può arrivare a scoraggiare ogni possibile processo di eliminazione del negativo.
E’ un marxismo sospettoso, insomma: non si può inchiodare la gente a un fine pena: mai. Solamente il Festival di Sanremo merita un giudizio così lapidario. E ci si perdoni il ricorso a una battuta, per concludere questo nostro intervento. Per farci perdonare, possiamo promettere a tutte le sinistre, anche a quelle più ideologiche, una maggior attenzione e disponibilità al dialogo. Perché se non modernizziamo anche le nostre dottrine, rendendole meno rigide o maggiormente adatte ai tempi, incorreremo anche noi nell’errore di inattualità, rimanendo perennemente inchiodati alle nostre tesi di partenza, senza possibilità alcuna di innescare quel procedimento kantiano che, invece, rappresenta il vero fondamento di ogni pensiero critico. Critico: non distruttivo. Relativo cioè a una critica sana, che sappia ricostruire e rinnovare le fondamenta democratiche nel nostro Paese.
Qualsiasi dottrina filosofica, culturale o persino estetica non può diventare un mero meccanismo, da applicare in automatico. Navalny ha avuto alcuni passaggi a vuoto, indubbiamente. Come tanti. Così come molti nostri giovani hanno attraversato un lustro in cui hanno fumato spinelli, per poter anestetizzare una loro momentanea situazione di marginalità. Se vogliamo arrivare a una soluzione strategicamente unitaria a sinistra, che servirebbe a rafforzarci tutti, pur nella legittima autonomia delle nostre rispettive organizzazioni e sensibilità, dobbiamo anche assumerci quelle responsabilità che potrebbero predisporci alle vittorie del futuro. Magari favorendo, anche a destra, una dinamica maggiormente libertaria, totalmente appartenente a quel filone berlingueriano di “comprensione reciproca” tra tutti i cittadini della nostra società.
Non ci sarà alcun ritorno al sociale, se eliminiamo ogni dinamismo individuale della persona o del singolo cittadino. E nessuno cambierà mai, né individualmente, né collettivamente. Evitiamo, dunque, ogni arrocco assumendo le nostre posizioni più intransigenti: faremmo un torto alle nostre culture, che si rivelerebbero solamente delle zattere di salvataggio e nulla di più, dunque poco adatte a solcare i mari più perigliosi.
Un saluto affettuoso ai compagni di Montagna Antifascista. E complimenti per aver scelto un nome così suggestivo: per noi amanti della montagna, si tratta di una scelta indubbiamente felice…
(24 febbraio 2024)
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